Quando descrisse i tre modi in cui la specie umana influenzava il clima, elencò la deforestazione, l’irrigazione sconsiderata e, forse più profeticamente, le “grandi masse di vapore e gas” prodotte dai centri industriali. Nessuno prima aveva considerato la relazione fra genere umano e natura in questo modo.
Andrea Wulf, “L’invenzione della natura”, riferendosi a scritti di Humboldt risalenti al 1844
Alexander von Humboldt (1769-1859) è stato un geografo, naturalista, botanico, geologo, esploratore, scienziato, letterato e ispettore minerario nato in Prussia, il regno tedesco che si estendeva dal Reno ai Paesi baltici, con capitale Berlino.
Se questa lista di competenze vi sembra troppo lunga, considerate che ridurre la sua figura a un singolo campo di indagine non renderebbe giustizia alla varietà dei suoi contributi.
Nell’epoca in cui le scienze si armavano di malta e mattone per innalzare insormontabili barriere atte a separare le varie discipline, e la parola “scienziato” (scient-ist, specialista, professionista della conoscenza) veniva coniata, le ultime due generazioni di “filosofi della natura” hanno attraversato l’Ottocento mentre — storpiando un celeberrimo detto di Gramsci — il vecchio mondo stava morendo, e quello nuovo si affrettava a comparire.
Humboldt, Lyell, Wallace, Cuvier, Lamarck, Somerville, Liebig, Charles Darwin — e la lista potrebbe allungarsi. La loro intelligenza collettiva generò la concezione moderna del mondo naturale e del nostro posto in esso. Ma non solo: la loro attività di ricerca produsse anche l’intuizione di trovarsi al centro di “una rivoluzione sulla faccia della terra” (Cuvier, 1840: esiste il link!).
Era iniziata l’età industriale, la modernità, l’epoca geologica che dall’homo sapiens prende il nome stesso: l’antropocene.
E dunque, chi era Humboldt? Possiamo usare due parole dell’antropocene: uno scienziato del “sistema Terra” e un divulgatore scientifico (nell’accezione inglese di science writer); oppure due parole antiche: un filosofo naturale e un poeta.
In ogni caso, se crediamo al re di Prussia, Federico Guglielmo IV, nell’ora della sua morte (il 7 maggio 1859) Alexander von Humboldt era “il più grande di tutti gli uomini dal Diluvio universale”.
Voi lo sapevate?
Noi no. Ma sapevamo che Humboldt veniva spesso citato come il “padre” dell’ecologia, disciplina il cui nome venne coniato nel 1866 da Haeckel, un altro naturalista-artista tedesco che studiò alla… università Humboldt di Berlino!
“Alexander von Humboldt is dead.” Articolo apparso sul Times di Londra il 9 maggio 1859, due giorni dopo la morte di Humboldt. Dopo aver elevato la sua figura cosmopolita ben al di sopra di importanti personalità nazionali (addirittura del duca di Wellington, vincitore a Waterloo), il giornale, fra le altre cose, scrive: “His merits are of such transcendant quality that praise is out of place”.
E quindi?
L’edizione di Scienceground di quest’anno — l’attività di conversazioni scientifiche che animiamo con il Festivaletteratura di Mantova — è dedicata agli ecosistemi.
Abbiamo tanti progetti in cantiere. Come sempre, i “gruppi di lettura” ne sono una parte importante. Per l’occasione li abbiamo ridefiniti “libere letture”, a sottolineare che chiunque può partecipare alla conversazione senza requisiti di sorta.
E quindi, daremo il via a Scienceground 2020 con una libera lettura dedicata alla vita di Alexander von Humboldt, e cioè per esteso, visto il personaggio, dedicata a tutto. Dalle fasce climatiche altitudinali al campo magnetico terrestre; dalla distribuzione globale delle piante alla “trasmutazione” delle specie; dallo sfruttamento coloniale al cambiamento climatico; viaggiando per 15000 chilometri dalle Ande ai monti Altai e dalle foreste pluviali alle steppe desolate.
Immergendoci nel Cosmos di Humboldt, speriamo di trovare il modo di guardare con occhi diversi al nostro mondo di oggi.
Non dovrebbe essere troppo difficile, forse basterà tenere a mente la massima che lui stesso ci ha lasciato:
Tutto è interazione e reciprocità.
La “Naturgemälde” (in francese “Tableau Physique”) di Humboldt del 1807. Al ritorno dalla loro spedizione sulle Ande, Humboldt e il suo collega e botanico francese Aimé Bonpland produssero questa celeberrima opera di rappresentazione paesaggistica e al contempo visualizzazione dati. Un capolavoro di divulgazione scientifica, ma anche il manifesto di un modo nuovo di guardare alla natura. Lo scopo qui era descrivere l’ecosistema andino — e in particolare quello del vulcano Chimborazo, che avevano scalato — come un “tutto unico”. Questa rappresentazione mette insieme dati di carattere biologico, geologico e atmosferico enfatizzando la profonda interrelazione di tutti questi aspetti, ciò che produce la dinamica di un ecosistema. Questa “ecomappa” assume dunque una valenza universale e non limitata, per esempio, alla tassonomia delle singole specie di piante del sistema andino. In particolare, sono riportate, al variare dell’altitudine, le fasce climatiche, le specie di piante rinvenute, valori di pressione, temperatura, precipitazioni, e molti altri “dati”. Persino l'”azzurrità” del cielo fu misurata con un apposito strumento, il cianometro.
Regole del gioco
Come partecipare? La “libera lettura” su Humboldt è un evento del Festivaletteratura di Mantova, e si svolgerà in maniera continuativa nel tempo in varie forme.
Ecco quali.
- Discussione scritta nei commenti a questa pagina. Potete semplicemente accedere alla pagina e leggervi i commenti per vedere cosa abbiamo da dire noi su questi temi, oppure registrarvi e partecipare alla discussione in forma scritta.
- Entrate nel gruppo telegram relativo a L’invenzione della natura, dove potremo chiacchierare insieme. L’idea è che il gruppo formi una chat informale dove si possa discutere, postare materiali e organizzarsi. Sul nostro canale telegram, invece, riporteremo novità e aggiornamenti generali da eXtemporanea, inclusi aggiornamenti su questa libera lettura (canale e gruppo telegram sono due cose distinte, ma dal canale si può trovare il link di accesso al gruppo per la conversazione).
- Alcuni eventi a sé stanti (leggi: streaming!), che avranno luogo da qui alla seconda settimana di settembre, quando si terrà il Festivaletteratura. Nel corso di questi eventi leggeremo (o faremo leggere) brani del libro e cercheremo di coinvolgere tutte le partecipanti (che siano in video, chat vocale o chat scritta) nella conversazione. Cercheremo anche di avere “ospiti di riguardo” (leggi: gente famosa) con noi in queste occasioni. Questo paragrafo verrà aggiornato in futuro con i dettagli, le date, e i necessari link.
Cosa consigliamo di fare per partecipare: intanto date un’occhiata alle sezioni successive.
Nella sezione Il libro e l'autrice
presentiamo la biografia di Humboldt scritta da Andrea Wulf. Se vi va (con calma e senza fretta) procuratevi il libro e dategli una letta. Vi assicuriamo che ne vale la pena.
Nella sezione Di cosa parliamo
elenchiamo alcune aree di conversazione che la lettura del libro ci ha ispirato. Sono cose di cui vorremmo parlare, ma la lista non è esaustiva e può essere ampliata (anche da chi ci legge), ridotta o ignorata. Leggendo questa sezione potete farvi un’idea del tipo di conversazione che vorremmo avere, e decidere se siete o meno interessat_. Meglio ancora, magari avete un’opinione su tutte queste cose! Vorremmo sentirla.
Nella sezione Materiali
(che verrà ampliata nel tempo – le comunicazioni e le news verranno date via telegram e qui sul blog) elenchiamo alcune letture aggiuntive – sia video e articoli online che libri – che abbiamo trovato particolarmente interessanti e pertinenti. Naturalmente anche chi ci legge può proporre nuovi materiali! Se siete proprio prese bene da Humboldt e dall’ecologia e volete saperne di più a prescindere da o in aggiunta alla lettura del libro, questa sezione è per voi.
Il libro e l’autrice
“L’invenzione della Natura. Le avventure di Alexander von Humboldt, l’eroe perduto della scienza” è una biografia di Humboldt ad opera della storica e scrittrice Andrea Wulf. Uscito in lingua inglese nel 2015, è arrivato in Italia nel 2017 edito da LUISS University Press (nella traduzione di Lapo Berti).
A seguito di un vasto lavoro di ricerca sulla documentazione dell’epoca (corrispondenze, pubblicazioni in varie lingue ed edizioni), Wulf condensa in circa 400 pagine l’intera lunga vita di Humboldt. Ne racconta la formazione, i viaggi, le idee, la politica, le opere e l’attività di scienziato polivalente e comunicatore scientifico. Mostra come la sua grande visione di una natura connessa e interdipendente influenza e nutre le idee di moltissimi scienziati e letterati per quasi un secolo.
Di cosa parliamo?
- I viaggi di Humboldt: dal Sud America alla Russia.
- Le opere di Humboldt: la comunicazione della scienza.
- Le osservazioni di Humboldt sulle strette relazioni fra clima, ecosistemi, e attività umane.
- Esplorazione, colonialismo e progresso scientifico nel corso dell’Ottocento. L’economia coloniale e le sue conseguenze ambientali.
- Le mappe di Humboldt: raccolta e sistemazione di dati, cartografie scientifiche e “data science”.
- La politica di Humboldt: gli ideali liberali e repubblicani, la vita alla corte del re di Prussia.
- I “cambi di paradigma” nella comprensione del sistema Terra: le ere geologiche e il “tempo profondo”, la “discendenza con variazioni” e la selezione naturale.
- La concezione della natura e del nostro rapporto con essa da Humboldt all’ipotesi Gaia.
- L’inizio e la fine della “modernità”: lo stato attuale del “sistema Terra”. La crisi climatica, il collasso degli ecosistemi, la “sesta estinzione”.
- La crisi del sistema Terra: dove finisce la scienza e dove inizia la politica? Qual è il ruolo dello “scienziato” nella congiuntura attuale?
- La biografia dello scienziato come genere letterario. Quali sono le sue caratteristiche? In che modo il racconto della scienza e di chi la fa influenza la nostra idea di come funziona la scienza stessa?
- Il “genio” humboldtiano: scopritore teorico di leggi universali oppure organizzatore empirico di dati raccolti?
Materiali
Introduzione a Humboldt
- La trasmissione “a.C.d.C.” di RaiStoria ha recentemente trasmesso un documentario su Humboldt, girato in concomitanza con il lavoro di documentazione di Andrea Wulf e contenente diverse interviste all’autrice del libro. Il documentario mette in scena principalmente il viaggio di Humboldt in Sud America. È disponibile in streaming qui.
- Questo articolo dello Smithsonian racconta delle mappe di Humboldt, del Chimborazo e di cartografie scientifiche.
- Un recente articolo scientifico (ma molto leggibile se si conosce l’inglese) pubblicato sulla rivista PNAS, in cui alcuni studiosi tornano sul Chimborazo e ripetono le misurazioni di Humboldt. Con l’aiuto di un’analisi filologica del Tableau Physique (vedi figura sopra), cercano di confrontare i risultati per scoprire gli effetti del cambiamento climatico sul sistema andino (per esempio, il costante spostamento verso l’alto di molte specie di piante).
- Alcuni pezzi di Paolo Pecere per Il Tascabile e Minima&Moralia. In uno l’autore segue le orme di Humboldt in Sud America, negli altri discute della figura di Henry David Thoreau (su cui Humboldt ebbe grande influenza) e del rapporto uomo-natura nel film Grizzly Man di Werner Herzog.
Antropocene, ecologia e crisi del sistema Terra
- Un articolo (tradotto su Internazionale) del giornalista e attivista ambientalista George Monbiot sulla necessità urgente di insegnare l’ecologia a scuola.
- La newsletter “Medusa”, a cura di Matteo De Giuli e Niccolò Porcelluzzi de Il Tascabile, che parla di antropocene, crisi climatica e di come orientarcisi.
- L’ultimo rapporto sulla crisi climatica dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, e quello sul collasso della biodiversità dell’IPBES, l’Integovernmental panel on biodiversity and ecosystem services (due agenzie dell’ONU che si occupano di organizzare e riassumere il corpus della ricerca scientifica su questi argomenti).
- Il libro vincitore del premio Pulitzer “La sesta estinzione”, della giornalista Elizabeth Kolbert. Il libro parla di come la riorganizzazione, la trasformazione e lo sfruttamento degli ecosistemi terrestri ad opera delle attività umane abbia ormai irreversibilmente dato il via alla sesta grande estinzione dall’inizio della vita sulla Terra (per intenderci, la quinta grande estinzione è quella dei dinosauri).
- Il libro “La terra dopo di noi” di Telmo Pievani. Pievani ci guida attraverso un esperimento di “umiltà evoluzionistica”, mostrandoci, anche attraverso le magnifiche fotografie di Frans Lanting, come la Terra (e la Vita) possano esistere senza noi. Infatti, l’attuale crisi climatica non mette a rischio l’esistenza della Vita sulla Terra nel lungo termine, ma — insieme alla contrazione dell’attuale biodiversità — la vita dell’homo sapiens sulla Terra. L’homo sapiens è dunque la prima specie a rischio di “auto”-estinzione, per aver troppo compromesso il suo stesso habitat. Partendo da queste premesse, Pievani propone un ambientalismo scientifico e umanistico al contempo: “scientifico” perché basato su evidenze e teso a soluzioni scientifiche; “umanista” perché riscopre la relazione tra l’homo sapiens e il suo ambiente come fondamentale per la sopravvivenza della specie e per la nostra eredità nei confronti delle generazioni future.
- “Il libro degli esseri a malapena immaginabili” di Caspar Henderson è una fantastica collezione di racconti e descrizioni di varie creature viventi (ispirato ai bestiari medievali) in cui natura, cultura e riflessioni sull’antropocene si mischiano. Oltre al senso di meraviglia per la complessità e l’imprevedibilità delle forme del mondo animale, il libro ricompone, a foggia di collage, una storia delle co-interazioni fra homo sapiens e altri animali al di fuori della logica gerarchica e “moderna” dello sfruttamento. Con quest’opera l’autore si sforza anche di comporre una narrazione non antropocentrica della vita sulla Terra.
Scrivere di scienza
- Il libro “Leggere la terra e il cielo. Letteratura scientifica per non scienziati” di Francesco Guglieri. L’autore scrive del piacere di leggere testi di divulgazione scientifica e ne recensice alcuni (fra cui “L’invenzione della natura” e “La sesta estinzione”). Segnaliamo anche questa conversazione di Guglieri con Matteo De Giuli a proposito del libro stesso e dello scrivere di scienza (science writing).
Gaia, o come immaginare la “rete della vita”
- La biologa statunitense Lynn Margulis fu al centro di due importanti “cambi di paradigma” nelle scienze della Terra nella seconda metà del Novecento. Uno riguarda la teoria evoluzionistica, dove l’idea di una selezione naturale dovuta solamente a modificazioni genetiche in un ambiente di competizione per scarse risorse è affiancata all’idea della cooperazione e della simbiosi: creature diverse che possono fondersi a formarne di nuove, oppure coevolvere cooperativamente, consorzi di batteri e creature multicellulari (olobionti, di cui parlammo l’anno scorso a Mantova con Lynn Chiu e Telmo Pievani; qui una nostra conversazione col biologo Scott Gilbert sul tema) e così via. Il secondo cambio di paradigma riguarda l’ipotesi Gaia: invece di vedere il “sistema Terra” come composto da un ambiente che può supportare la vita, e dalla vita stessa, l’ipotesi Gaia postula che l’interazione fra l’ambiente “esterno” (inorganico) e i processi vitali (organico) sia così forte da rendere questi due ambiti indistinguibili fra loro. In altre parole, la vita stessa genera le condizioni per la propria sussistenza (autopoiesi). Il documentario biografico “Symbiotic Earth” di John Feldman rappresenta una buona introduzione al lavoro di Lynn Margulis e a queste idee, pur pagando a volte, in termini di serietà, il ricorso a stilemi ormai riconoscibilmente tipici di una narrazione di stampo “complottista”.
- Molte delle idee sopra esposte sono state discusse nell’ambito di uno “streaming festival” organizzato dal Center for art and media (ZKM) di Karlsruhe nell’ambito della mostra “Critical zones. Observatories for earthly politics”. Il festival ha visto gli interventi di vari/e scienziati/e, intellettuali e filosofi/e, fra cui per esempio Bruno Latour (che ne è organizzatore e promotore) e Donna Haraway. Il proposito della mostra e delle conversazioni è di calarci cognitivamente nella “zona critica”, cioè la sottile fascia di pochi chilometri di spessore in corrispondenza della superficie terrestere, in cui tutti i processi vitali hanno luogo. Le registrazioni dello streaming sono disponibili qui (attenzione che serve conoscere l’inglese piuttosto bene perché non ci sono sottotitoli), mentre consigliamo un giro per la zona critica sul sito della mostra.
La situazione italiana
- Il libro “L’equazione dei disastri” del fisico Antonello Pasini. Questo libretto divulgativo riguarda soprattuto la componente “inorganica” dell’ambiente naturale: in particolar modo, concentrandosi sulla situazione italiana, discute chiaramente come il rischio idrogeologico della penisola (cioè la misura della frequenza e della gravità di eventi climatici estremi come frane, alluvioni, trombe d’aria, etc.) risulti indissolubilmente connesso sia ai cambiamenti climatici indotti dall’uomo su scala globale, sia allo sfruttamento e al consumo di territorio su scala locale.
Ecologia, capitalismo e colonialismo
- Se Humboldt aveva già compreso e denunciato la connessione fra crescita economica, sfruttamento coloniale, politiche estrattiviste e devastazione del mondo naturale con le sue conseguenze, può sembrare strano che simili discorsi, fatti 150 anni dopo, suonino ancora “nuovi” e controversi. Questa puntata del podcast statunitense “Citations needed” fa capire perché, e discute proprio di questi aspetti: come portare avanti la transizione ecologica (per esempio, il passaggio a fonti di energia rinnovabili e la limitazione dello sfruttamento ambientale)? Si può operare questa transizione restando nell’ambito di un’ideologia economica che prevede la crescita del PIL globale a tutti i costi? E come coniugarla con le esigenze di sviluppo dei Paesi poveri? (Per l’ascolto è necessaria un’ottima conoscenza dell’inglese.)
- Con la scelta di Humboldt come punto d’entrata di questo percorso “ecologico”, ci siamo concentrati sulle scienze della natura per come sono state sviluppate nell’Ottocento dai paesi occidentali. Humboldt, Darwin e soci facevano parte del medesimo milieu culturale e vivevano in un’Europa che era velocemente diventata padrona del mondo proprio grazie alla devastazione della natura – dal supersfruttamento dei suoli in agricoltura all’estrazione sistematica delle risorse naturali – e all’oppressione e al genocidio di molti popoli non europei. Queste atroci politiche coloniali sono proprio quelle che hanno permesso a Humboldt e Darwin di effettuare i loro studi e di compiere i loro viaggi, in parte determinandone il pensiero e il modo di vedere la natura. È lecito interrogare questa contraddizione e chiedersi se il loro (cioè il “nostro” nel senso di Occidentali) sia l’unico punto di vista da prendere in considerazione quando si parla di ecologia, conservazionismo, contrasto alla crisi del sistema Terra… La risposta è no: in questo intervento (in inglese; il saggio su cui si basa invece è in francese; qui un’intervista in italiano), Malcom Ferdinand – uno studioso di teoria postcoloniale ed ecologia politica originario di Martinica – argomenta che la prospettiva decoloniale delle popolazioni storicamente considerate “subalterne” vada necessariamente congiunta con gli sforzi ecologisti. Ferdinand sostiene in modo convincente che sia ormai ora di dare spazio alle molte lotte, a un tempo ambientali e anticoloniali, da sempre portate avanti dai “dannati della Terra” (per citare Franz Fanon, un altro pensatore originario di Martinica).
5 risposte su “L’invenzione della natura: la vita e il Cosmo di Alexander von Humboldt”
Ho incontrato questo straordinario personaggio vedendo un programma Rai ( Sapiens- Un solo Pianeta) per cui, successivamente , ho cercato notizie limitandomi a ricerche sul web. Tra l’altro, dalle immagini, era un uomo bellissimo, dallo sguardo fiero, trasparente, sereno, profondo.
Quando lessi che aveva scalato il Chimborazo, lo collegai con la Dickinson che mai aveva visto il vulcano ma di cui conosceva l’esistenza da immaginarlo come luogo della congiunzione con l’Amore. La donna vestita di bianco osservava api e nasturzi dalla sua finestra, sentendo la lontananza come matrice di dolcezza.
Vi seguirò. Intanto i versi di Emily :
Amore – tu sei in alto –
Non posso scalarti –
Ma, si fosse in Due –
Chissà che noi –
Alternandoci – al Chimborazo –
Ducali – alla fine – non si arrivi a starti accanto –
……
Grazie per i versi, Enza.
In effetti, forse non è sorprendente che Dickinson conosca e usi il monte Chimborazo come metafora: sappiamo dalla sua biografia che Humboldt negli Stati Uniti godeva di immensa fama, e specialmente a causa del suo viaggio in Sud America con la scalata al vulcano. Humboldt ispirò direttamente l’opera di molte importanti personalità statunitensi, come Henry David Thoreau e John Muir (quello dei parchi nazionali).
Fra l’altro, fino all’inizio del XIX secolo il Chimborazo era considerato la montagna più alta del mondo – e in un certo senso lo è visto che la sua vetta è il punto della crosta terrestre più distante dal centro della Terra.
Un altro artista profondamente influenzato dai viaggi e dagli scritti di Humboldt fu il pittore Frederic Edwin Church. Viaggiò per le Ande e dipinse alcuni paesaggi con in mente le teorie di Humboldt sull’interdipendenza degli ecosistemi. In particolare, in questo quadro (https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/1c/Frederic_Church_Chimborazo.jpg) raffigura una maestosa veduta del Chimborazo con la foresta tropicale in primo piano. Church era coevo di Dickinson, quindi possiamo immaginare che la poetessa abbia potuto vedere quest’opera.
Volevo segnalarvi che è uscito un testo in italiano tradotto direttamente da francese che tratta del libro “Per un’ecologia decoloniale” di Malcom Ferdinand. Eccolo qui: https://www.lavoroculturale.org/ecologia-decoloniale/
Grazie! Aggiunto il link anche nel testo e corretto il typo sul nome (Malcom, non Malcolm).
Provo a fare una piccola nota critica su L’invenzione della Natura, sintetizzando qui gli appunti che ho raccolto lungo la lettura. Secondo me il libro si concentra troppo – fin dal titolo – sull’eccezionalità del personaggio, relegando ai margini il contesto storico e i mutamenti sociali in cui la sua vicenda si inserisce, come pure delle considerazioni sulla storia delle idee. Mi chiedo addirittura se i limiti che vedo non siano tipici del genere letterario “biografia di uno scienziato dimenticato”. Voglio allora divertirmi suggerendo la non-specificità di Humboldt lungo due assi dell’evoluzione storica del sapere scientifico.
Il primo mutamento in cui Humboldt è inserito è il passaggio che investe gli scienziati da cortigiani a dilettanti facoltosi e infine professionisti inquadrati in istituzioni di ricerca [1]. La nascita di queste istituzioni è un fatto nuovo del XIX secolo, in cui hanno raggiunto la conformazione che ci è familiare. Le nuove università nacquero inserite nel mercato, in veste di istituzioni produttrici di innovazione – come le prestigiose università private americane – o nel contesto delle lotte fra nazionalismi – l’università tedesca riformata dal fratello Wilhelm che si rivelerà decisiva per lo sviluppo economico dell’industria tedesca e quello ideologico della classe dirigente. Osservata attraverso la lente di questi cambiamenti storici cruciali per uno studioso, la vita di Humboldt è uno slalom fra vecchi modelli e tensioni verso il moderno. Prima soccombe temporaneamente alle richiesta della madre di entrare a far parte della nuova classe di tecnici dello stato prussiano, poi investe la sua eredità per diventare un esploratore dilettante e infine, dilapidata quella pur ingente fortuna, ritorna nei panni più tradizionali di ciambellano alla corte di Federico Gulglielmo III. Contemporaneamente, Humboldt si afferma come la star delle Accademie delle Scienze con cui entra in contatto (a Berlino, Londra e Parigi). Queste istituzioni, che si diffusero soprattutto nel XVIII e XIX secolo, furono un altro elemento che contribuì con la forza della propria legittimazione alla scomparsa della controversa figura dello scienziato dilettante che vagava per le corti europee [2], fino a determinare l’affermazione dello scienziato professionista.
Anche nel movimento dalla conoscenza settecentesca del mondo biologico a quella moderna, vedo in Humboldt una figura di transizione. Nel XIX secolo si assiste all’abbandono graduale di una storia naturale concentrata sulla descrizione e catalogazione della morfologia degli esseri, che cede il passo alla ricerca di leggi generali ispirate a quelle ormai classiche della fisica e dell’economia – ricerca culminata ad esempio nello sviluppo della teoria dell’evoluzione o nelle prime ipotesi di deriva dei continenti da parte di Snider-Pellegrini [3]. Potrebbe aver senso recuperare quello che Foucault chiama il sovrapporsi di “griglie di intelligibilità” per definire l’approccio di Humboldt [4]. Il nostro non disdegna il mettersi a cercare diamanti per lo zar di Russia, se la scoperta serve a mettere in crisi un pregiudizio sulla distribuzione dei minerali nel mondo, né riduce il suo ruolo a quello del sistematizzatore settecentesco, lamentandosi dell’approccio di molti suoi contemporanei poco interessati ai rapporti fra esseri viventi e geografia. Eppure, non vede sé stesso come uno specialista, né pensa di poter trarre leggi generali dall’osservazione della natura, ma solo individuare quelle “interazioni” e quelle “reciprocità” che dovrebbero trasparire, con romantica immediatezza, dalle rappresentazioni grafiche come la Naturgemälde.
Mi sembra che i due movimenti possano essere correlati alla contemporanea affermazione in molti ambiti della società della logica borghese della professionalizzazione. Il sapere moderno ha acquisito sempre più un carattere strumentale nei confronti della tecnica e dell’industria, incoraggiato in questo dall’evolvere del pensiero positivistico. La necessità di dimostrare l’originalità dei propri contributi, requisito per fare carriera nelle nuove università, ha spinto i ricercatori a specializzarsi sempre di più. L’opposizione retorica, che percepisco nel testo, tra la vastita degli interessi di Humboldt a la specializzazione degli scienziati, spesso più giovani, con cui interagiva, mi sembra quindi un po’ fuori fuoco. La normalizzazione dei fenomeni naturali all’interno del discorso scientifico e la sistematizzazione delle conoscenze, perseguite da Humboldt con la sua insistenza sulle ricerche di magnetismo e elettricità, o con la meticolosa raccolta di “campioni” di individui biologici, non sono affatto da opporre alla ripartizione in discipline rigidamente delineate. Recuperando un altro concetto foucaultiano, quello di polizia disciplinare del sapere [4], selezione, normalizzazione, gerarchizzazione e centralizzazione delle conoscenze mi sembrano momenti distinti ma coerenti della formazione del moderno sapere scientifico. L’opera di Humboldt e di altri, a questo punto, mi appare come un passaggio necessario verso la settorializzazione.
La storia del cianometro – lo strumento usato da Humboldt per misurare le tonalità di azzurro del cielo sovrastante il vulcano Chimborazo – mi sembra un ottimo esempio delle dinamiche che ho provato ad elencare. Il colore, i suoni, il sapore, le leggende, gli usi medicinali e le ricette di cucina erano stati espunti dalle descrizioni delle piante a partire dall’epoca di Linneo. L’oggettività della conoscenza scientifica aveva bisogno di partire da una natura muta, in bianco e nero e senza storia. Humboldt si scontra con questo punto di vista classico in un momento in cui è impegnato a estendere i limiti del conoscibile. Anche se la misura della tonalità dell’azzurro si è rivelata un binario morto, un ramo senza prole o ibridazioni nell’evoluzione di ciò di cui può scrivere uno scienziato, è un esempio divertente e rivelatore di un momento storico di straordinario dinamismo, che investiva addirittura le premesse della creazione di conoscenza. Più che di “eroe perduto”, forse dovremmo parlare di un fantasma, un’entità trasparente che ancora infesta le nostre menti: i suoi contributi alla conoscenza sono diventati alcune delle caselle della griglia attraverso cui guardiamo il mondo da ormai più di un secolo.
Riferimenti
[1] Allan Chapman, L’Ottocento: la professionalizzazione dell’astronomia in Storia della Scienza, Treccani, 2003.
[2] Mariano Tomatis, Mesmer. Lezioni di mentalismo. Mariano Tomatis, 2016
[3] Michel Foucault, Le parole e le cose. Per un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli 1998.
[4] Michel Foucault, “Bisogna difendere la società”. Feltrinelli, 2010.