C’era una volta un virus di nome Rocona Rusvi ad alta infettività ma bassa patogenicità e virulenza, che colpiva soprattutto le persone più fragili (che bastardo!). Nella sua fase avanzata provocava una violenta dissenteria e vari altri sintomi specifici, altrimenti era indistinguibile da un normale mal di pancia.
Dio sapeva che una certa percentuale degli anziani e dei debilitati che lo contraevano morivano, e che una percentuale molto minore di giovani sani infettati manifestavano sintomi gravi. Ma questi numeri non erano noti ai comuni mortali.
Ogni persona che lo contraeva, incontrando altre persone
Un brutto giorno il Rusvi entrò nel fantastato di Iliata, a bordo di tre persone, Tenziepa Rezo, Ziepante Roze, e Pazienza Tero, che non si erano mai incontrate prima.
Per varie settimane il Rusvi si diffuse allegramente senza essere notato da nessuno. Qualcuno lo scambiò per una cena andata di traverso, qualcuno guarì dal cagotto senza curarsene troppo. Qualche anziano, ahimé, crepò ai primi accenni, non in tempo però perché si manifestassero i sintomi più caratteristici – cosicché nessuno ci fece troppo caso.
Era però scritto nelle statistiche divine che, vai e vai, dopo tanti casi silenti e qualche anziano morto in/di solitudine, prima o poi si ammalasse gravemente un giovane virgulto. E così successe che in un ragazzo in forma del paese di Docogno – chiamiamolo Ziepante Nuo – il Rusvi si sprigionò con più forza, con sintomi specifici e gravi che lo portarono alla terapia intensiva.
La sirena d’allarme squillò: il Rocona Rusvi è in Iliata!
Si accesero i riflettori: da focolare domestico, Docogno si trasformò in focolaio nazionale.
Partirono le analisi sulle persone che erano state a contatto con il giovane. A Docogno e nei vicini villaggi di Dilo, Salca Sterpugnole, e Tiscaglieno Dada, qualcuno risultò positivo. A chi non lo era, sentendosi ingiustamente escluso, fu data la possibilità di contrarlo direttamente negli ospedali della zona, che pullulavano del Rocona.
A partire da Ziepande Nuo, si cominciò a ricostrure la rete di infetti.
L’esercito fu mobilitato per impedire alla popolazione di gestire il contagio tramite l’esercizio del senso civico, e per consentire alla créme della stampa nazionale di accalcarsi alle soglie degli ospedali in cerca di notizie all’ultimo grido. Il genere preferito era quello della ricerca di un fantomatico “Paziente Zero” (termine burocratico nato dalla crasi di Tenziepa Rezo, Ziepante Roze, e Pazienza Tero). Gli esperti con laurea, con fare presidenziale, vaticinavano dall’alto delle televisioni.
Siccome però a guardare indietro nel tempo si ha l’impressione che i fatti più recenti siano i più importanti,
la ricerca del Paziente Zero presto deragliò:
Nel frattempo persone con i sintomi, in aree completamente diverse dal focolaio, impressionate dalla storia di Ziepante Nuo, si sottoposero agli esami: spesso negativi, ma a volte no. Nascevano altri focolai:
Inseguiti da branchi di giornalisti famelici di notizie morbose, tutti si affrettarono a collegare questi eventi con i fatti di Docogno, tratteggiando collegamenti con le storie personali degli infetti (“il salumiere della nuora dell’amante del dentista è stato a Tiscaglieno Dada il mese scorso”). E siccome a ben cercare dei collegamenti possibili se ne possono sempre trovare, ecco che ne furono trovati:
Beh, ad un certo punto si ebbe l’impressione che l’epidemia partisse proprio da Docogno, ma che tuttosommato tutto fosse sotto controllo:
Siccome poi andavano a sottoporsi agli esami soprattutto le persone che stavano male, sembrò che il Rocona Rusvi fosse molto più patogeno (malati/infetti) e meno morboso (infetti/popolazione) di quello che era in animo al Buon Signore:
Ancora oggi si narrano strane storie del disagio provato dalle persone di Docogno e dintorni. Qualche pazzo si arrabbiò, diceva che era tutta un’insulsaggine. Senza ragione, dacché senz’altro lo stato Iliatano certamente provvise per tutti.
Mano a mano che l’epidemia si allargava, l’occhio del ciclone si andava però allontanando, e con lui l’interesse per quello che era successo per davvero. Era vero che l’epidemia era partita da Docogno? Era la malattia a diffondersi esponenzialmente, o la sua percezione?
Ormai però, la narrazione dell’epidemia coincideva con l’epidemia stessa.
I giornalisti, già disinteressati al Paziente Zero, rivendicarono: avevano retroattivamente predetto tutto, la popolazione era salva grazie al loro lavoro zelante. I militari avevano sorvegliato: che ne sapessero loro nessun Rocona Rusvi aveva varcato i confini, e la popolazione era salva grazie al loro zelo. E gli esperti potevano sentenziare sulle pagine di libri pret-a-porter: “ve l’avevamo detto!”