[Bruno Giorgini per sicenceground.it, Genova 21/09/2019]
È un innamoramento quello che mi prende conoscendo e ascoltando le giovani persone che hanno dato vita a scienceground. Li incontro al liceo Isabella d’Este, il loro quartier generale, durante il Festival della letteratura di Mantova. Una grande sala disadorna con alcuni tavoli pieni di microscopi e manifesti scritti a mano incollati alle pareti, tra cui campeggia una citazione di Mark Twain. “Sognai che l’universo visibile è persona fisica di Dio; che i vasti mondi che noi vediamo scintillare, milioni di miglia lontano nelle distese dello spazio, sono corpuscoli nel sangue delle sue vene; e che noi e le altre creature siamo i microbi che saturano i corpuscoli di vita innumerevole.” Sui muri pure una più tradizionale frase del filosofo della scienza di Karl Popper sulla verifica e falsificazione dei risultati. Nel chiostro qualcuno su una lavagna ha tracciato lo schema di una elementare Intelligenza Artificiale.
Questi esempi testimoniano uno dei cardini di Siencegroud: le contaminazioni. Tra diverse discipline, diversi metodi di spiegazione e indagine, tra diversi livelli di conoscenza e diversi linguaggi, ottenendo una sorta di “ambiente scientifico” insieme accogliente e variegato, dove appunto possano convivere i microbi, l’asse portante di quest’anno, e l’Intelligenza Artificiale, e/o Machine Learning, più le varie altre domande e curiosità che chi arriva può esprimere, magari sedendosi in una sorta di salottino con qualche libro a disposizione. Il glorioso e vetusto -i cessi sono ancora alla turca -istituto Isabella d’Este sta fuori dalle traiettorie del Festival della Letteratura e non puoi capitarci deambulando a caso. Se ci vieni è per scelta. Nemmeno gli organizzatori sanno dirti se sia semplicemente capitato per comodità o per loro volontà di separazione dai meccanismi propri del festival, con le sue folle, le sue pubblicità e sponsorizzazioni, i suoi eventi coi tempi contingentati in modo rigido, o rigoroso che dir si voglia. Mentre gli eventi di Scienceground non hanno durata. Non sono incalzati da altri eventi impacchettati prima e dopo, continuano fin quando la discussione non si esaurisce naturalmente. Lo spaziotempo non è tutto pieno e già strutturato, ma ha dei vuoti che aprono la possibilità, il desiderio, la libertà di fare qualcosa per riempirlo, magari in modi imprevisti. Se si vuole siamo in presenza di uno spaziotempo pulsante dove l’energia non si distribuisce uniforme ma a sprazzi. Questa destrutturazione dello spaziotempo significa che l’indefinito/l’indefinizione diventa il motore perchè lì nascono le domande e l’interesse dei singoli come dei gruppi.
Ma entriamo ora all’assemblea di bilancio che Scienceground tiene in fine del festival. Partecipa una trentina più o meno di persone. Due dati saltano agli occhi: la giovinezza dei presenti, dai giovanissimi ai più adulti, e il gran numero di ragazze, il che è poco comune per una riunione scientifica, le scienze essendo ancora in genere popolate in maggioranza consistente da uomini. Inoltre nel dibattito si capisce che i/le partecipanti hanno livelli di conoscenza tecnica assai diversi, dallo studente di primo acchito ai dottorandi fino ai ricercatori già operativi e a un paio di docenti universitari/e, forse più. Il che non crea nessuna barriera, non ci sono docenti e discenti, il discorso corre fluido tra quelli che intervengono. La dico così: si tratta in questo senso di una comunità egualitaria, dove però ognuno è se stesso, una singolarità che si propone agli altri. Non c’è una autorappresentazione e/o un’autodescrizione eccessiva, nessuna voglia di una visibilità sopra le righe, per esempio sui social media; piuttosto un ritegno e una discrezione. Ne’ ambiscono i miei amici/he di scienceground a diventare un’istituzione neppure nell’ambito del festival che pure in qualche modo rinnovano, e un poco scuotono dalla routine del previsto e prevedibile. Anzi “non essere una istituzione è la nostra forza”. Per certi versi, e mi si perdoni il paragone certo improprio, sembra di assistere alla riunione di uno di quei gruppi extraparlamentari alle soglie del ’68 – 69 che poi daranno vita alla sinistra rivoluzionaria. Lo spirito mi par lo stesso, e stessa la curiosità e voglia di innovazione, per non dire: rivoluzione. Se le contaminazioni sono il primo volano che attiva la dinamica, poi intervengono i laboratori e i gruppi di lettura: ecco le nervature per ora del progetto. Che poi si fatica a distinguere se è un progetto che s’incarna in un gruppo, o viceversa. Un po’ come l’uovo e la gallina. In funzione della condivisione dei valori della scienza, che è il nocciolo duro. Condivisione con chi? Con tutti/e. In altro linguaggio: credo che si propongano in modo più o meno esplicito la riappropriazione sociale della scienza, a cominciare con un’opera di “alfabetizazzione scientifica”. Una idea anche presente negli scritti di Marx, si pensi al famosissimo frammento sulle macchine pubblicato nei Quaderni Rossi, numero 4 credo. Messa così direi che scienceground incrocia scienza e democrazia, ma in modo lieve danzando sulle punte dell’intelligenza critico ironica, e non camminando cogli scarponi dell’ideologia. Qualcuno parla di costruire “la casa dello scienziato” che s’immagina aperta e vivente in un quartiere, o meglio: in ogni quartiere. Diciamo così: l’opposto della torre d’avorio.
Per finire questo breve e troppo schematico racconto di una cosa molto più ricca e problematica, vorrei proporre una dimensione che non è entrata in modo esplicito nella discussione. Se vogliamo: introdurre un altro grado di libertà. La ricerca scientifica. Nell’orizzonte degli eventi di scienceground compare? E se sì, come? Può pensarsi e costituirsi scienceground oltrechè sugli assi della comunicazione, della educazione scientifica, della filosofia naturale in senso lato, della sperimentazione progettuale e linguistica, del dialogo e condivisione, anche attorno a un asse di ricerca scientifica che coinvolga le diverse discipline, tecniche, esperienza e competenza dei singoli/e, in una mixitè capace di produrre problemi scientifici di frontiera da iniettare nel corpo della ricerca militante? Detto in altro modo: può scienceground che già oggi è una esperienza originale e unica certamente in Europa, ma a occhio direi: nel mondo, diventare il generatore di nuovi territori di ricerca scientifica? A questo punto, lasciando in sospeso la domanda, me la cavo con ironia dicendo: ai posteri l’ardua sentenza.