«Qual è la differenza tra un ottimista e un pessimista?»
«Un pessimista è un ottimista ben informato, un ottimista è un pessimista ben sorvegliato.»Presunta battuta russa
Nelle precedenti Libere Letture abbiamo imparato a conoscere il pensiero di Alexander Von Humboldt e di Amitav Ghosh circa le dubbie sorti del mondo e dei suoi ecosistemi. Il primo già nel 1801 scriveva che quando la specie umana avrebbe sparso in altri pianeti la sua letale miscela di vizio, avidità, violenza e ignoranza, sarebbe stata capace di rendere “desolate” e di “devastare” anche le lontane stelle. Nel suo saggio La grande cecità, l’autore del romanzo Il Paese delle Maree denuncia l’incapacità della società contemporanea di vedere il cambiamento climatico e di affrontarlo. Ogni libro che ne provi a parlare — dice Ghosh — viene immediatamente relegato negli scaffali della fantascienza o della saggistica scientifica.
In questa terza libera lettura cerchiamo di togliere un po’ di polvere da quegli scaffali per addentrarci nell’intricato labirinto dei futuri immaginabili. A motivarci in questa esplorazione sono una curiosità e una necessità.
Siamo curiosi di scoprire quante uscite ha il labirinto: è davvero più facile, dati alla mano, immaginare la fine del mondo che un cambiamento radicale nel nostro modo di abitarlo?
Siamo pressati dall’urgenza che un cambiamento comunque avverrà, con o senza il nostro contributo: e per noi la negoziazione con il futuro è necessaria.
Come?
Ci prendiamo alla lettera: letture in libertà! Di seguito raccoglieremo materiali (estratti di libri, articoli scientifici, saggi, riferimenti a film etc.) che andranno via via a costituire una sorta di antologia di ecosistemi a malapena immaginabili che vorremmo commentare insieme a voi: sul gruppo Telegram dedicato, nei commenti a questo post o al Gazebo di Scienceground durante Festivaletteratura.
Regole del gioco
Come partecipare? Questa libera lettura si svolgerà per tutta la durata di Festivaletteratura, in maniera continuativa nel tempo e in varie forme.
Ecco quali.
- Volete proporci un estratto da un libro o da qualcos’altro che secondo voi c’entra col tema “ecosistemi futuri e come pensarli”? Mandatecelo! Potete lasciare un commento a questo post (serve creare un account per farlo), nel gruppo Telegram o mandarci un’email a scienceground@festivaletteratura.it. Li aggiungeremo all’antologia!
- Discussione scritta nei commenti a questa pagina. Potete semplicemente accedere alla pagina, leggere gli estratti e scorrere i commenti per vedere cosa abbiamo da dire noi su questi temi, oppure registrarvi e partecipare alla discussione in forma scritta.
- Entrate nel gruppo Telegram, dove potremo chiacchierare insieme. L’idea è che il gruppo sia una chat informale dove si possa discutere, postare materiali e organizzarsi.
- Tenete d’occhio il nostro canale telegram, dove riporteremo novità e aggiornamenti generali da eXtemporanea, inclusi aggiornamenti su questa libera lettura e attività collegate.
Antologia degli ecosistemi a malapena immaginabili
Di seguito gli estratti che abiamo raccolto fino ad ora. Ma per cominciare, abbiamo chiesto a 5 ospiti di Scienceground 1.6666… di suggerircene qualcuno tra i loro preferiti! Eccoli:
E se l’umanità si estinguesse?
I – suggerimento di Simona Micali (professoressa associata, Università di Siena)
«A quel tempo gli esseri umani erano dotati di cervelli molto più grossi di quelli attuali, e di conseguenza potevano lasciarsi sedurre dai misteri. Uno di tali misteri era come un numero tanto elevato di creature incapaci di percorrere grandi distanze a nuoto fosse riuscito a raggiungere le isole Galápagos, un arcipelago di picchi vulcanici a ovest di Guayaquil, che mille chilometri di acque molto profonde e molto fredde provenienti dall’Antartide separavano dalla terraferma. Quando l’umanità scoperse le isole in questione, già vi risiedevano i gechi e le iguane e i ratti del riso e le lucertole e i ragni e le formiche e gli scarabei e le cavallette e gli acari e le zecche, per tacere di enormi tartarughe terrestri. Di quale mezzo di trasporto si erano serviti?
Molti soddisfacevano i loro grossi cervelli dandosi questa risposta: erano arrivati a bordo di zattere naturali.»Da Galapagos di Kurt Vonnegut (Bompiani 2000; prima edizione americana: 1985)
Uno dei più straordinari e visionari scrittori della fantascienza americana: Vonnegut ha la capacità di cambiare il nostro modo di concepire il mondo e noi stessi. Galapagos può essere definito il suo “romanzo ecologico”: è la storia della “felice estinzione” della specie umana, e della mutazione dei pochi sopravvissuti alla catastrofe in una nuova specie finalmente in armonia con il mondo – o, come diremmo oggi, ecosostenibile – liberata da quei “grossi cervelli” che secondo l’autore sono stati la maledizione nostra e del pianeta.
Una utopia paradossale, un’apocalisse condita di humour e intelligenza: due ingredienti di cui in questi tempi difficili sentiamo un gran bisogno.
II – suggerimento di Simone Brioni (associate professor, Stony Brook University)
«E il vento d’estate che viene dal mare
Intonerà un canto fra mille rovine
Fra le macerie delle città
Fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà
Fra macchine e strade
Risorgerà il mondo nuovo
Ma noi non ci saremo
Noi non ci saremo»Da Noi non ci saremo di Francesco Guccini (Folk beat n. 1, 1967)
“Ci rifiutiamo di ammettere che andiamo incontro all’estinzione come specie. Certamente non nei prossimi giorni, e nemmeno nei prossimi anni, ma avverrà, avverrà in un futuro che è intollerabile immaginare, perché sarà senza di noi. È doloroso pensare che tutto quanto abbiamo costruito nelle nostre vite e…in secoli di civiltà ammonterà a niente perché tutto diviene polvere….Altre specie umane si sono estinte prima di noi, verrà anche il nostro momento” (Wu Ming, New Italian Epic, Einaudi 2009, p. 56). Cosa succede quando guardiamo al mondo attraverso uno sguardo extra-umano, non-umano, non identificabile?
Per approfondire il tema del “futuro dopo l’umanità” si consiglia la lettura di questo saggio (in inglese).
E se la realtà diventasse un’opera di Banksy?
suggerimento di Daniele Comberiati (maître de conférences, Université Paul-Valéry-Montpellier)
«I True United States, devastati dalle catastrofi naturali e da una serie di piaghe bibliche che avevano messo in crisi l’entourage religioso del presidente, erano troppo impegnati nelle loro lente e dissanguanti guerre di confine con il Messico e il Canada per opporsi. E poi la lobby friulana al Vero Campidoglio di Boston poteva contare sul supporto di tredici senatori capaci di insabbiare qualsiasi cosa. La guerra d’indipendenza friulana si concluse, di fatto, il quinto giorno dell’operazione Anin a gris» (p. 5)
«Io volevo altro per la mia gente. Volevo davvero un mondo nuovo, pulito, una terra restituita alle origini ancestrali, dove i friulani riportati a casa da ogni parte del mondo potessero vivere in pace e in armonia, riscoprendo piaceri semplici, la bellezza del lavoro d’un tempo, a contatto con la natura. Invece sono arrivati altri avvoltoi, al posto di quelli che avevo cacciato. Un nuovo male ha corrotto la mia terra, snaturando i miei piani. Non saremmo diventati una nazione fiera e unita, un esempio per il futuro dell’umanità. Ci avrebbero trasformati in un parco dei divertimenti per ricchi di ogni parte del mondo. I miei figli sarebbero diventati i loto servi, i loro pagliacci… le loro prostitute… Non mi hanno lasciato alternative: il paese che avevo creato era una preda troppo ghiotta per un mondo alla ricerca di nuove risorse.» (p. 121)Da Furland® di Tullio Avoledo (Chiarelettere, 2018)
Il Friuli del 2030, libero, indipendente e apparentemente florido in un mondo devastato da guerre, riscaldamento globale e cataclismi naturali, è un enorme parco-giochi (in gran parte a tema nazista) per i ricchi del mondo. La violenza messa in scena contro gli esseri umani è una parodia feroce – ma perfida – della violenza con la quale il genere umano ha distrutto il proprio ecosistema. E l’unica maniera di ricostruirlo sembra appunto l’artificio: creare un sistema chiuso in cui tutto, anche la morte, sembra un simulacro. Avoledo si e ci interroga sul rapporto fra realtà e finzione, sulle difficoltà ma anche sulle possibilità, distrutto questo mondo, di crearne un altro. E lo fa, come in altri suoi testi, creando un ponte fra essere umano, territorio e mondo globalizzato, che parte dal Friuli attraversa il Pentagono.
E se l’acqua finisse?
suggerimento di Chiara Cigarini (dottoranda presso la Beijing Normal University)
«Ci vollero dieci anni per realizzare l’enorme progetto d’ingegneria che avrebbe portato l’acqua verso la Cina Occidentale attraverso l’aria.
Durante quei dieci anni, vennero costruite sulle acque meridionali della Cina vaste reti aeree. Tali reti erano composte da tubi sottili ricoperti di piccoli fori. Ogni maglia della rete era di centinaia, se non migliaia di metri di diametro, simile al cerchio che aveva prodotto la superbolla dieci anni prima, e ogni rete possedeva migliaia di queste aperture.
C’erano due tipi di rete aerea: da terra e sospesa. Le reti da terra furono collocate lungo la costa, mentre quelle sospese vennero appese a giganteschi palloni mantenuti ad alta quota, ad alcuni chilometri di altezza. Nel Mar Cinese Meridionale e nel Golfo del Bengala, le reti aeree correvano ininterrotte per più di duemila chilometri lungo la costa e sul mare, venendo soprannominate “La Muraglia Cinese di Bolle.”
Il giorno in cui il sistema di deviazione aerea delle acque entrò in funzione per la prima volta, i tubicini delle reti aeree furono riempiti di FlySol, formando una membrana di fluido su ogni apertura. Il forte vento umido del mare soffiò nelle reti aeree, producendo un’infinità di superbolle, ciascuna di alcuni chilometri di diametro. Le bolle si staccarono dalle reti aeree una dopo l’altra, sollevandosi in massa verso i cieli più alti. Salendo nell’atmosfera, da lì seguirono le correnti d’aria, anche se più bolle venivano a formarsi di continuo dalle reti aeree. Immensi stormi di superbolle veleggiavano maestosamente verso l’interno del Paese, avvolte dall’aria umida dei mari. Andarono alla deriva oltre le montagne dell’Himalaya, oltre il Grande Sud Ovest, fino ai cieli del Nord Ovest. Tra il Mar Cinese Meridionale e il Golfo del Bengala, e la Cina Nord Occidentale, si erano formati due fiumi di bolle, lunghi migliaia di chilometri!» (p.270)
Da Le bolle di Yuanyuan di Liu Cixin (Nebula, 2017; prima edizione cinese: 2004)
Liu Cixin, scrittore di fantascienza cinese reso celebre dal romanzo Il Problema dei tre corpi (2017), affronta qui il tema dell’esaurimento delle risorse idriche: lo fa con la storia di Yuanyuan, bambina affascinata dalle bolle di sapone che, coltivando intuizione e creatività, diventerà una brillante scienziata capace di ideare un sistema per far fronte alla siccità della Cina del Nord.
Il racconto affronta, tra le altre cose, l’importanza del binomio scienza-creatività, e ci permette di introdurre alcuni aspetti dell’ideologia della scienza che caratterizzano la Cina odierna. Diversamente da autori come Han Song e Chen Qiufan, che dipingendo futuri tutt’altro che desiderabili ci invitano ad anticipare e prevenire squilibri nel rapporto uomo-ambiente attraverso la temperanza nei confronti della natura, il racconto di Liu richiama un altro approccio piuttosto diffuso, la tendenza a ricorrere a tecnologie e capitali per mitigare i danni causati dall’uomo all’ambiente naturale.
E se una civiltà extraterrestre socialista finisse le risorse del “Pianeta Rosso”
suggerimento di Giulia Rispoli (research scholar, Max Planck Institute for the History of Science)
« “Felice? Pacifica? Da dove avete preso quest’idea? Da noi regna la pace tra le persone, è vero, ma non c’è pace con le forze della natura, e non potrà mai esserci. E questo è un nemico da cui a ogni sconfitta sorge una nuova minaccia. Nell’ultimo periodo della nostra storia, abbiamo intensificato di dieci volte lo sfruttamento delle risorse del nostro pianeta. La nostra popolazione sta crescendo e, ancor più in fretta, sta aumentando il nostro fabbisogno. Il periodo dell’esaurimento delle risorse naturali si è già presentato diverse volte in vari settori lavorativi. Finora siamo riusciti a porvi rimedio, senza dover incorrere in una temuta riduzione dell’aspettativa di vita, nostra e delle generazioni future; tuttavia proprio adesso la lotta sta assumendo un aspetto assai critico”
“Non avrei mai pensato che con una tale potenza tecnologica e scientifica sia possibile il verificarsi di simili minacce. State dicendo che è già successo nella vostra storia?”
“Già settant’anni fa, quando si sono esaurite le riserve di carbon fossile e il passaggio all’energia elettrica e idrica era lungi dall’essere ultimato, per compiere una gigantesca riorganizzazione industriale ci siamo visti costretti ad abbattere una parte significativa delle nostre amate foreste, sfigurando il nostro pianeta e causando un drastico peggioramento del clima per decenni. In seguito, quando ci siamo ripresi da questa crisi, ormai una ventina d’anni fa, abbiamo scoperto che i minerali ferrosi stavano per esaurirsi. Si è iniziato dunque a eseguire ricerche in tempi brevi sulle leghe di alluminio e una enorme parte delle risorse tecnologiche a nostra disposizione è stata convogliata nell’estrazione elettrica dell’alluminio dal sottosuolo. Secondo gli attuali calcoli degli statisti, si prospetta entro trent’anni un inevitabile carenza di cibo, se fino ad allora non saremo in grado di eseguire una sintesi di proteine dagli elementi”
“E gli altri pianeti?” chiesi.» (pp 109-110)
Da Stella Rossa di Aleksandr Bogdanov (Alcatraz, 2018; prima edizione russa: 1908)
Stella Rossa è il primo romanzo russo di viaggi spaziali, ma non solo. Il suo autore, Bogdanov, si inserisce nel solco scavato da Humboldt – e se vogliamo va oltre – nell’elaborare una visione (eco)sistemica del rapporto società-natura; dove sì “tutto è interazione e reciprocità”, ma è soprattutto un irriducibile conflitto a muoverne la co-evoluzione. Ecco allora che anche una società ideale — marxista e marziana — deve scontrarsi con sovrappopolazione, esaurimento delle risorse e inquinamento. Come spiega bene Wu Ming nella prefazione all’edizione citata, questo romanzo-utopia è anche un viaggio nel pensiero di Bogdanov riguardo agli ecosistemi e al rapporto delle società con essi: nessun equilibrio dura per sempre e solo ciò che muta si conserva davvero.